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7 APRILE 2020

CORONAVIRUS e LOCAZIONI – Risoluzione o rinegoziazione del canone di locazione: quando? (Avv. T. Fontana – Studio Legale CNTTV)

In una situazione di eccezionale difficoltà come quella generata dal Cornoavirus, tanti sono i cittadini  che hanno dovuto sospendere o  addirittura chiudere la propria attività lavorativa.

Ebbene, tale situazione ha senza dubbio messo in difficoltà molti inquilini che oggi non riescono più a  far fronte al pagamento dei canoni di locazione.

Cosa prevede il decreto Cura Italia.

Il Decreto Cura Italia nulla prevede per privati e professionisti, mentre per gli esercenti di attività d’impresa tra le misure di sostegno ha previsto il credito d’imposta al 60% del canone di affitto.

In base all’art. 65 del decreto sopra richiamato, l’agevolazione può essere richiesta solo per gli immobili che rientrano nella categoria catastale C/1, ovvero da quei negozi costretti alla chiusura “forzata” per effetto del decreto dell’11 marzo.

Sulla base di quanto sopra, ci si domanda se il Conduttore può comunque ricevere tutela e dunque se può in qualche modo sospendere il pagamento del canone di locazione.

Ebbene, sul punto la risposta non è unanime.

Se da un lato è infatti vero che la tutela del conduttore può essere ricercata in alcune norme codicistiche – sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione;   dall’altro lato altrettanto vero è che, per alcuni, tali tali norme non possono trovare accoglimento per dirimere il caso di specie.

Al solo fine di rendere più chiaro il tutto,  si illustreranno di seguito le due teorie.

Sul punto, le principali previsioni codicistiche che vengono in rilievo per dirimere in maniera positiva la questione, sono senza dubbio quelle che hanno ad oggetto  l’impossibilità della prestazione e in particolare:

   l’Art. 1256 c.c. in base al quale: l’obbligazione si estingue quando essa è divenuta impossibile per causa non imputabile al debitore. Anche l’impossibilità parziale può determinare l’estinzione dell’obbligazione, quando essa perdura fintantoché il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione o il creditore non ha più interesse a conseguirla;
   l’Art. 1463 c.c. in base al quale: se la prestazione divenuta impossibile si pone nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, essa fa venir meno anche il diritto a ricevere la controprestazione, determinando così la risoluzione del contratto;
   l’Art. 1464 c.c. in base al quale: se l’impossibilità di una delle prestazioni è solo parziale, si ha diritto ad una corrispondente riduzione della controprestazione, o anche al recesso dal contratto se l’altra parte non ha più un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.

Dalla lettura delle norme sopra richiamate risulta evidente che l‘impossibilità sopravvenuta” (ex 1256 c.c.) è sicuramente una causa di legittima estinzione dell’obbligazione, oppure, a seconda delle circostanze, di giustificazione del ritardo nell’adempimento.

Tale impossibilità, per essere giuridicamente rilevante, deve però avere ad oggetto o comunque fare riferimento ad un evento eccezionale nonchè imprevedibile, oltre che estraneo alla sfera del debitore ed idoneo a provocare un impedimento obiettivo  allo svolgimento della prestazione.

L'”eccessiva onerosità sopravvenuta” (ex art. 1467 c.c.), presuppone, invece, una grave alterazione dell’equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causato da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno.

Ebbene, gli articoli 1256 e 1464 c.c. introducono  nel nostro ordinamento Giuridico uno dei principi fondamentali nella regolazione dei rapporti contrattuali ossia la causa di forza maggiore.

La causa di forza maggiore non ha una definizione univoca, sappiamo però che i presupposti per la sua operatività sono sicuramente l’imprevedibilità nonchè la straordinarietà dell’evento esterno alla sfera di azione delle parti, nonché la non riconducibilità dello stesso alla figura del debitore.

Sulla base di tali assunti appare evidente che se la prestazione contrattuale diventa definitivamente impossibile per causa non imputabile al debitore, nel nostro caso all’inquilino affittuario,  l’obbligazione si estingue e la parte obbligata non è tenuta ad adempiere la prestazione.

Dunque in conclusione: l’emergenza coronavirus potrebbe essere rirtenuta causa di forza maggiore tale da giustificare l’inadempimento e/o a ritardare l’adempimento stesso.

Se invece riteniamo che le norme di cui sopra non possono essere applicate al caso di spcie perchè la prestazione è da considerarsi sempre dovuta, ossia perchè il pagamento di una somma di denaro è certamente possibile, sicuramente non sarà possibile richiedere la sospensione dei canoni di locazione.

In tale ipotesi, sarà però possibile invocare la causa concreta del contratto ma per le sole locazioni ad uso commerciale.

In sostanza, eccependo che il conduttore per causa a lui non imputabile non può oggi godere effettivamente dell’immobile.

Vediamo in che modo.

In particolare, la possibile liberazione del conduttore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, in forza di quanto disposto dagli artt. 1218 e 1256, solo se ed in quanto concorrano l’elemento oggettivo della impossibilità di eseguire la prestazione, in sé considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del conduttore/debitore riguardo alla causazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione.

Direi che entrambe le situazioni sussistono nella situazione attuale.

Riterrei possibile – ferma l’applicazione di tali norme – la sospensione e/o rinegoziazione dei contratti di locazione in essere.

A) Il primo caso è quello che riguarda l’ipotesi dell’obbligo di chiusura totale di alcune attività commerciali. In questa sitazione si potrebbe far riferimento all’articolo 1256, comma 2, c.c.- In tal caso, si configurerebbe un’ipotesi di intervenuta impossibilità temporanea nell’esecuzione della prestazione, in quanto il conduttore, pur restando nella disponibilità dell’immobile, in concreto non potrebbe esercitare alcuna attività che possa generare fatturato. Ne deriva che il conduttore non potrebbe ritenersi responsabile del ritardo nell’adempimento: pertanto potrebbe ammettersi la sospensione del canone di locazione limitatamente al periodo previsto dal DPCM.

B) Altra ipotesi, che potrebbe essere forse preferibile, è quella della rinegoziazione del contratto, considerando le minori entrate conseguite dal conduttore, alla luce del principio di buona fede.

Infatti, ai sensi dell’art. 1467 del codice civile, nei contratti a esecuzione continuata o periodica (quali quello di locazione), se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto. Risoluzione che può essere evitata dall’altra parte offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

Il principio di buona fede impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali, sono idonei a preservare gli interessi dell’altra parte, facendo aderire il regolamento contrattuale alla reale situazione di fatto nel frattempo creatasi.
Questa norma viene in pratica ad integrare il contratto, e può arrivare ad imporre la rinegoziazione al fine di riequilibrare il sinallagma contrattuale.

La violazione di un siffatto obbligo consente alla parte non inadempiente di agire per la risoluzione del contratto per inadempimento dell’altra parte, o, addirittura, per ottenere il risarcimento del danno eventualmente patito nelle more o, infine, agire in giudizio per chiedere al Giudice di modificare direttamente le pattuizioni contrattuali che, in ragione delle cirocostanze sopravvenute, sono divenute inique.

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